Cosmogonia Linux!

cosmoSofí­a

LA SPERANZA, LA FEDE, L’AGIRE

– Aspetto progettuale intrinseco nella natura umana. Aspetto che sottintende il desiderio di controllo da parte dell’uomo.
– Aspetto contemplativo o di attesa e fiducia nell’esito di una determinata azione.

Le due forze operano in concomitanza affinché, io operi attraverso la mia azione verso una determinata direzione, auspicando, confidando, sperando, avendo fiducia, che si manifesti il risultato da me voluto.

Tuttavia dobbiamo distinguere e chiarire i diversi stati d’animo, che pur sembrando affini, in realtà rivelano ad un analisi più attenta differenze enormi fino a giungere a vere e proprie contrapposizioni.

Fede e speranza possono per esempio apparire ad una prima lettura sinonimi tuttavia se ben compresi gli stati d’animo che sottendono, possono farci comprendere le profonde differenze che esprimono.

A seguito di una buona azione o nella realizzazione di un buon progetto, posso “sperare” che tutto vada bene o che si compia il risultato da me voluto.
Allo stesso modo potrei voler preferire che il mio atteggiamento si predisponga verso una condizione di fede o fiducia piuttosto che di speranza.

Cosa cambia dentro di me?

Il cambiamento è sostanziale, vediamo come:

La speranza sottende sostanzialmente ad una mia incompletezza o a un mio sentimento di inadeguatezza: “io ho fatto del mio meglio, più o meno consapevole dei miei limiti e difetti a questo punto non mi resta che sperare che tutto vada per il verso giusto. Cioè che non emerga qualcosa del mio operato di così sbagliato da far mutare la direzione del mio progetto.

La fede rappresenta sostanzialmente, preso atto dei miei limiti, difetti, etc, l’accettazione di forze esterne a me medesimo, dunque non ascrivibili a mie facoltà individuali, in grado di orientare i fenomeni con cui io entro in rapporto.

Potremo anche dire che speranza è l’atteggiamento di chi è nel dubbio, mentre la fede di chi è nella certezza: spero (dunque non sono del tutto certo che l’evento si concretizzi, altrimenti è più che ovvio che non mi servirebbe sperare) che vada tutto bene.
Ho fede, ho fiducia (sono convinto del fatto che, mi fido del mio o dell’altrui operato (al punto che non dubito e dunque ho motivo di credere) che tutto vada bene.

Ecco che da quanto si evince sopra, i due atteggiamenti possiamo considerarli diametralmente in antitesi, arrivando ad affermare che l’uno necessariamente debba escludere l’altro.

O abbiamo fede o abbiamo speranza.
Speranza nella fede o fede nella speranza sono dunque ossimori (ghiaccio bollente).

Chi ha fiducia e nello stesso tempo manifesta fede in un determinato progetto/azione, semplicemente si trova in uno stato mentale e spirituale di non allineamento e le relative azioni non potranno che essere incoerenti e distorsive.

Giunti a questo punto potremmo porci anche la seguente domanda: ma com’è l’uomo che ha fiducia e l’uomo che ha fede? Come si comportano costoro? Come pensano? Dove vanno le loro azioni?

Diciamo semplicemente che chi sviluppa un atteggiamento di speranza vivrà una serie di esperienza lontane dal proprio dominio e dal proprio controllo (speriamo che tutto vada bene: io non ho facoltà di poter determinare il compiersi degli eventi), mentre chi opera all’interno di una dimensione di fiducia e/di fede propenderà per una dimensione di maggiore controllo delle dinamiche (ho sviluppato un buon progetto, la sua esecuzione non potrà che rivelarsi vincente, ho piena fiducia nel mio operato (ed eventualmente in quello dei miei collaboratori).
Detto ciò, con questo non possiamo affermare che chi operi all’interno di una dimensione di fiducia produca opere e/o azioni eticamente o moralmente superiori a chi opera nella condizione di speranza. Sarà “semplicemente” la qualità (rispetto a criteri squisitamente personali) della vita dell’individuo a compiersi verso una maggiore o minore realizzazione. Per intenderci un assassino che opererà in fiducia molto probabilmente otterrà maggiori risultati di “un collega” che invece si limiti a sperare, ma questo non significa che uno diventi moralmente superiore all’altro, i soggetti rimarranno due assassini.

E fin qua abbiamo visto come agiscono in due diversi sentimenti nell’uomo, sentimenti che il soggetto rivolge a se stesso o a situazioni tangibili, concrete (fiducia in un progetto, fiducia nell’operato dei miei colleghi, nella moglie o marito, nei figli, etc. )

Ma cosa succede se la fiducia viene riposta nelle istituzioni, nella chiesa, nel “sistema”, etc?
Stiamo parlando di entità a noi estranee e delle quali non possiamo aver contezza dunque il riporre fiducia in queste presuppone la nostra convinzione nella loro “bontà” o “correttezza” o “giustezza”, pena il venir meno nella loro fiducia, con tutte le conseguenze cognitive del caso, la cui dissonanza cognitiva può divenire elemento caratterizzante.

Ecco che si rischia in questo modo di ribaltare quanto affermato poco fa: la fiducia diventa elemento di disorientamento psichico, ma se lo diventa non lo diventa a causa della fiducia ma a causa di una fiducia mal posta. Questa apparentemente sottile differenza è dunque fondamentale!

Posso io aver fiducia in un architetto che continua a far crollare le abitazioni? Posso io aver fiducia in una moglie o marito che mi trascura per andare a ballare con i suoi amici tutte le sere? Posso io aver fiducia in un figlio che si crea la sua personale indipendenza economica vendendo extasi? Etc, etc..
Se lo faccio, ovviamente ne pagherò le conseguenze, psicologiche e materiali.

Per cui, ancora, se arrivo a potermi fidare, lo devo fare “a ragion veduta”: sono consapevole delle mie abilità, sono consapevole delle abilità dei miei colleghi, sono conscio dell’onestà dei politici a cui mi rivolgo, etc, etc..

E come posso rendermi consapevole di ciò? Attraverso le azioni manifeste, mie e di loro, non esiste alcun altro modo. Non posso credere e limitarmi alle parole (quel prete parla bene, deve essere una gran brava persona, quel politico parla bene farà cose giuste, etc..) per poter porre in essere il mio atteggiamento di fiducia in questo o in quell’altro soggetto, cadrei certamente in errore con ancora le conseguenze di cui sopra.

Ecco che si deve instaurare una relazione inscindibile tra fede e azione.

Questo è certamente un punto critico per l’essere umano, uno dei più importanti da analizzare, perché l’uomo avendo a disposizione un quid energetico ben preciso e finito, nel tendere al suo minore dispendio energetico possibile, tenderà ad operare valutazioni “rapide” con il rischio (spesso certezza) di limitare le sue valutazioni ad un piano superficiale, quello di parola per l’appunto, trascurando la valutazione più completa ossia quella di azione.

Ecco dunque che un istituzione diventa una buona istituzione se i media ne parlano bene e viceversa una pessima se ne parlano male, a prescindere dal suo operato reale, tangibile.
È sotto gli occhi di tutti come l’Europa (in qualità di istituzione) nel suo agire abbia peggiorato enormemente la qualità della vita dei suoi cittadini, ma è sufficiente che i media ne parlino bene per far convinto il cittadino (che misura le opere attraverso le parole e non le azioni) che si tratti di un ottimo istituto.
E quanto appena descritto può essere applicato ad ogni ambito, il prete, la chiesa, l’influencer (ha tanti followers e dunque mi posso fidare), la banca, la TV (questa vive di parole, le parole ne sono la dimensione costitutiva ed essenziale), la scuola, etc, etc..

Si potrebbe riassumere con il noto slogan: “fatti non parole!” , peccato che si tratti di parole anche in questo caso (uno slogan è fatto di parole).

Dunque il fatto si compie, non si dice. Il fatto esiste in quanto fatto e non in quanto parola. Io posso descrivere con parole il fatto, ma esso si è compiuto ben prima che le mie parole potessero descriverlo ed esisterebbe anche se le mie parole non lo volessero descrivere…

Dunque ricapitolando se ho fede o fiducia è perché dei fatti preliminari a questa mia condizione mentale o spirituale si sono compiuti, dentro o fuori di me e questo ha prodotto tale sentimento in me.

Ma cosa succede se la mia fiducia/fede ora la ripongo in Dio? La questione si complica?

No affatto, non si verificherà nulla di diverso da quanto abbiamo descritto appena sopra.
La mia fiducia o fede sarà ben o mal riposta a seconda degli elementi fattuali che io utilizzerò per supportarla.

Ma come posso individuare e dunque valutare le azioni reali e concrete di un eventuale “figura” di questo tipo?

“Semplicemente” osservando noi stessi e la Natura e ricavando da questa le informazioni che il nostro massimo grado di lettura della realtà ci consente.

Questo prevede che noi si abbandoni tutto ciò che le parole hanno fatto per descriverci Creato e Creazione e (al loro posto) si inizi un lavoro di osservazione molto ampio tale da abbracciare nell’analisi sia ciò che consideriamo “esterno” sia ciò che consideriamo “interno” a noi stessi.

Possiamo per esempio iniziare ad osservare il moto dei pianeti e delle galassie, le loro geometrie, dinamiche e proporzioni, per poi rivolgere lo sguardo dentro di noi, verso il nostro sistema cellulare, dove ancora osservarne il loro moto, geometrie, dinamiche e proporzioni…

Arrivati a tanto, potremo ancora dubitare in Dio?
Potremo ancora non averne fiducia?
Potremo non averne fede?
Sarebbe la nostra una fiducia mal posta?
Cadremmo in errore o potrebbe questo diventare il faro in grado di guidare ogni nostra azione?

Mi rendo conto, potrebbe apparire un percorso complesso, ma in realtà lo diventa se alla nostra analisi e al nostro sentimento sostituiamo quella/o di altri, come per esempio ogni chiesa (o istituzione) vuole che sia da sempre, giocando sul sottile filo di lana caprina (non a caso indico la capra come elemento caratterizzante) che separava, divideva e sottraeva questa innata capacita dell’uomo e dall’uomo, attribuendosene ogni facoltà e merito proprio per mantenere e garantire il proprio potere temporale su Dio e sull’Uomo.

Per cui, ricapitolando:

1. Soggetto al centro delle dinamiche cognitive e spirituali
2. Completa analisi interiore ed esteriore dei fatti (non delle parole, dimenticate anche le mie parole e abituatevi a leggere la realtà)
3. Fiducia e/o fede in ciò che è manifesto e risplende.